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QUARTETTO GROSVENOR



violino – viola – violoncello – pianoforte 

Hyeyoon Park violino
Timothy Ridout viola
Kian Soltani violoncello
Benjamin Grosvenor pianoforte

G. Mahler
(1860-1911)
Quartetto in la min. per pf e archi

R. Strauss
(1864-1949)
Quartetto in do min. per pf e archi, op. 13

R.Schumann
(1810 -1856)
Quartetto per piano in Mib Magg op.47

Ancora un concerto simbolo degli orizzonti sempre più allargati e dinamici della musica giovanile d’oggi. Ecco un quartetto internazionale assolutamente stellare formato tutto da ancora ventenni. Lontananze geografiche, stilistiche o etniche vengono superate rapidamente senza penalizzare equilibrio sonoro, omogeneità culturale, precisione di fraseggio. Esiste ormai una tecnica, una scuola, un’interpretazione, una modalità di lettura del testo sovranazionali che uniscono i pubblici delle sale più importanti al mondo facilitando l’incontro e la collaborazione degli artisti più duttili e ricettivi.

Così anche Trento può condividere i risultati di un’unità stilistica estremamente elegante, esercitata attorno a due partiture dal colore e procedimenti narrativi particolari perché opere di autori normalmente assai lontani dal linguaggio cameristico, quali furono Gustav Mahler e Richard Strauss. Ma questo apparente disequilibrio si ricomporrà attorno all’opera magistrale (il Quartetto in do min. op. 60) di Johannes Brahms.

Protagonisti di questo incontro saranno la violinista Hyeyoon Park nata a Seul nel 1992 perfezionatasi a Cincinnati e a Berlino con Antje Weithaas e vincitrice del premio Borletti-Buitoni; il violista Timothy Ridout nato a Londra nel 1995, spesso sul palco con Joshua Bell e Janine Jansen e ora premiato con l’inserimento nel Bowers Program della Chamber Music Society del Lincoln Center; il violoncellista Kian Soltani, nato nel 1992 a Bregenz, in Austria, da una famiglia di musicisti persiani, già legato alla Deutsche Grammophon, a Baremboim e Renaud Capuçon; il pianista Benjamin Grosvenor, nato nel Regno Unito nel 1992 (già ospitato a Trento) e legato da anni alla Decca, camerista raffinato e pluripremiato, capace di governare con sapienza la regia dell’intero gruppo.

Note di Sala

In genere si associa Mahler alle sinfonie imponenti, alla musica vocale con grande orchestra. La sua formazione musicale di base, tuttavia, fu come pianista e le prime composizioni dedicate alla musica da camera con pianoforte. Il Quartetto per pianoforte in la minore è un unico movimento e si presenta in forma di sonata tradizionale. Il pianoforte espone il primo tema, caratterizzato da un motivo di tre note, gli archi riprendono e ampliano questo disegno e il secondo tema completa il percorso con una rapida serie di note discendenti. Lo sviluppo combina i due temi, salendo in un climax di grande intensità. Forse il passaggio più fantasioso del movimento è il ritorno del primo tema, ora in uno stato d’animo sommesso, quasi misterioso. Infine, una cadenza del primo violino porta a una conclusione tranquilla. Strauss incontrò Brahms a Berlino e, sotto la sua influenza, il compositore iniziò il Quartetto per pianoforte op. 13. La partitura mostra un’insolita fusione di personalità musicali: la sobrietà e la grandezza di Brahms si sposano con il virtuosismo impetuoso del giovane Strauss. Più di 30 minuti di energia focosa: dal primo movimento d’apertura, il più “brahmsiano” (per la sua sonorità cupa, lo sviluppo di piccoli motivi tematici e la portata drammatica), allo Scherzo, pieno di movimento, energico, passando per un’Andante, più calmo, con un tema lirico alla viola fino al Vivace conclusivo che ritorna all’umore del movimento iniziale volgendo alla conclusione su un saldo accordo di do minore. Il Quartetto op. 47 di Schumann si apre con una lenta introduzione che contiene un motivo di quattro note, base del tema principale dell’Allegro. Lo Scherzo che segue, tutto vigore di staccati e fantasia, è interrotto da due Trii contrastanti. Il movimento lento, che inizia come fosse già nell’aria, offre una delle melodie più romantiche di Schumann, introdotta dal violoncello, che incarna la quintessenza dell’inquietudine del XIX secolo. Il Vivace termina con grande slancio del pianoforte che continua a giocare il ruolo dominante affidatogli in tutta la composizione.  Alessandro Arnoldo


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