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JERUSALEM QUARTET



quartetto d’archi

Quartetto Jerusalem
Alexander Pavlovsky violino
Sergei Bresler violino
Ori Kam viola
Kyril Zlotnikov violoncello

 

F. Mendelssohn
(1809-1847)
Quartetto per archi n. 4 in mi min., op. 44 n. 2 (MWV R 26)

A. Webern
(1883-1945)
Langsamer Satz per quartetto d’archi, WoO 6 (1905)

A. Dvorak
(1841-1904)
Quartetto n. 12 in Fa magg. op. 96 ‘Americano’

Con il ritorno in Filarmonica del Quartetto Jerusalem, il pubblico di Trento ha la possibilità di confrontarsi con una delle migliori formazioni cameristiche in assoluto oggi in attività al mondo. Un prestigio costruito in venticinque anni di lavoro (il Quartetto si è formato nell’ormai lontano 1993) indirizzato alla costruzione di un suono equilibrato ma sempre ricco di tensioni emotive grazie a una ineguagliabile precisione esecutiva. Una perfezione sinonimo di bellezza, perché capace di superare ogni problema tecnico nel segno di una identificazione profonda con il testo musicale e i suoi contenuti intimi, sentimentali, emozionali e formali. Tutto scorre nelle letture dello Jerusalem, avvicinando il pubblico al senso più alto dell’espressione musicale.

I quattro musicisti israeliani hanno ormai percorso più volte le sale principali di tutti i continenti proponendo un repertorio oggi vastissimo, per gran parte fermato in eccellenti registrazioni discografiche curate dall’etichetta Harmonia Mundi. Intatta è rimasta la loro passione, il loro impegno sempre rispettato su tutti i palcoscenici verso il pubblico. Ascoltarli nuovamente a Trento nei tre mondi diversi di Mendelssohn, Anton Webern e Dvorak sarà davvero per tutti un’occasione imprevedibile quanto emozionante.

 

Note al programma

Mendelssohn alla fine dei suoi vent’anni, felice e famoso, scrive una serie di tre quartetti in stile “tardo” classico. Nel Quartetto n. 2 (primo in ordine di tempo), il compositore entra subito nell’azione dell’Allegro, più sostanzioso (per dimensioni e pathos), con il suo soggetto principale in continuo movimento su un accompagnamento agitato. Il secondo movimento è il veloce Scherzo, con i caratteristici elfi di Mendelssohn che sgambettano su scale ascendenti e discendenti. Il terzo movimento, lento e dolcemente sentimentale, è nello stile della Romanza senza parole (brani per pianoforte solo suonati in ogni casa borghese nell’Europa di metà secolo). Il finale è lussureggiante e tersamente ritmico, una tavolozza di scrittura concertante che sposa l’arte musicale con il virtuosismo tecnico. L’incantevole Langsamer Satz di Webern è profondamente romantico, una miscela di frasi ampie, quasi brahmsiane; un tema centrale, rapsodico con una serie di sostanziosi unisoni e un epilogo di armonie tranquille e fluttuanti a chiudere questo toccante ricordo di gioventù, che i Moldenhauer, nella sua biografia, hanno definito “pura musica d’amore”. Di gran lunga il più popolare dei quartetti di Dvořák, l’Americano riflette il suo obiettivo di “scrivere qualcosa di veramente melodioso e semplice”. Il primo movimento si apre sui trilli con un assolo lirico della viola. I due temi principali attingono alle scale pentatoniche (cinque note “bianche” fa, sol, la, do, re), che si trovano spesso nella musica popolare (non solo americana). Il Lento è uno dei più evocativi di Dvořák. La sua malinconica melodia si muove gradualmente fino ad un climax appassionato prima di dissolversi in una chiusura sommessa, con la nostalgica melodia al violoncello per l’ultima volta, accompagnata da note pizzicate. Il terzo movimento è costituito da un unico tema ritmico e comprende due segmenti contrastanti – una sezione vivace in Fa maggiore e un’altra in fa minore. Il movimento contiene, inoltre, una variante del soggetto principale esposta più volte nel registro superiore del primo violino: la riproduzione del canto di un uccello della campagna americana (probabilmente il tanager scarlatto). Il Finale propone un modello ritmico che può essere un riferimento ai tamburi dei nativi indiani. Il primo violino danza la sua gioiosa melodia sopra il suo battito continuo. A metà del movimento, il tempo rallenta e Dvořák introduce un corale, probabilmente ispirato ad uno degli inni che gli piaceva suonare all’organo. Dopo il corale, una riaffermazione del primo tema porta ad un finale decisamente felice. Alessandro Arnoldo


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